Mai senza l’altro

Già l’esperienza delle chiusure altalenanti dei due anni di pandemia, con le tensioni sociali tra chi si barrica per aura di altri che possono contagiarlo a chi rivendica la propria libertà con il tono acceso ( e talvolta violento) dell’antagonista, aveva richiamato spesso in me il testo di Michel de Certeau Mai senza l’altro.
Lo sgomento per il precipitare della guerra in Ucraina rende ancora più viva la rilettura di questo libretto che reca nel sottotitolo “Viaggio nella differenza”, come crescita nella fatica di accettare l’altro a partire dalla sua semplice esistenza. Eppure l’altro è fondamentale per la verità di me stesso, anche solo semplicemente guardando a lui, intuisco quello che non vedo di me. Anzi è inizio del cammino verso l’Altro.
Ma l’altro suscita conflitto, altrimenti è indifferenza, apatia o conformismo, incomprensione della realtà stessa per cui “esistere significa ricevere da altri l’esistenza”. Ma noi sentiamo l’altro come colui che pone limiti, perché per la reciprocità sociale si richiedono delle leggi. Si entra in equilibrio instabile; si deve imparare “l’umiltà della pace”; che a sua volta richiede “la violenza dell’operatore di pace”, per la novità costante dell’altro, per l’inafferrabilità dell’Altro: altrimenti diventa un idolo a nostra somiglianza.
Il vivere nella storia comporta un equilibrio in movimento tra fedeltà e progresso, in una “quiete brutale”, tra l’accogliere quanto ricevuto e le novità spiazzanti del “riceversi dall’altro”, che inaspettatamente si presenta, in un susseguirsi di eventi inquietanti.
L’esperienza ecclesiale stessa è investita dalla tensione tra unità data da Cristo ed il lavorio dello Spirito che spinge ogni credente alla risposta personale al Cristo stesso. La risposta vera è la carità, cioè il lasciarsi coinvolgere in modo spesso lacerante interiormente. Lo stesso parlare è “rischiare di perdersi e imparare a morire”, di giudicare ed essere giudicati, proprio perché la verità, la realtà in Dio supera ogni nostra parola.
L’autore affronta quindi l’apologia della differenza nei tanti contesti in cui si sogna l’omogeneità, compresa la Chiesa, comprese le varie rivendicazioni di identità, “una malattia che accieca tutti”. La stessa sinodalità, può celare una via di convergenza per “imporre una concezione troppo ristretta dell’unità”. La tensione è intrinseca al cattolicesimo, tra “rivelazione attestata dell’autorità e dall’altra all’esigenza di un’autenticità personale”.
Il cammino di fede in Cristo è anch’esso segnato dall’accoglienza e fedeltà alla Parola ricevuta nella Chiesa e l’imprevedibilità della sua venuta “come un ladro” (Ap 16,15). E non solo per l’ora sconosciuta della morte, ma per i quotidiani eventi con cui si manifesta nell’inatteso: qualsiasi altro non previsto nei programmi della giornata. Come le assenze delle settimane di silenzio della pandemia o come i profughi della pazza guerra scatenata affermando operazione di pace e difesa di identità.
Silenzi di solitudini, urla dei dilaniati dalla guerra, a cui siamo chiamati a partecipare: “tutta la creazione in attesa aspira con impazienza alla rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19), guardando e seguendo il nostro Maestro nella sua Pasqua.