L’organo a canne della chiesa parrocchiale di Aisone

La chiesa parrocchiale di Aisone vanta tra i suoi tesori un prezioso organo a canne risalente all’anno 1748 opera di Giacomo Filippo Landesio. Tale strumento voluto dal parroco don Francesco Bagnis che nel 1800 dopo varie peripezie era riuscito a ottenerlo gratuitamente dalla chiesa di san Domenico di Racconigi, necessita di un intervento consistente di restauro per poter essere di nuovo suonato. Le motivazioni che sono state alla base di un tale decisione sono state anzitutto quella di salvare e riportare al suo antico
splendore uno strumento di indubbio valore artistico. Collegata a questa anche il desiderio da parte della popolazione di poter risentire il suono di questo bel strumento nelle celebrazioni liturgiche anche in considerazione del fatto che nella comunità parrocchiale ci sarebbero alcune persone qualificate per poterlo usare per accompagnare i canti. Non da ultimo, anche in collaborazione con l’Amministrazione comunale che si è data disponibile a contribuire alle spese del restauro, si potrebbero organizzare concerti
solisti o abbinati al altri strumenti per allietare occasioni di festa del paese. Tali motivazioni ci paiono più che sufficienti per poter dare via ai lavori che abbiamo affidato alla ditta Vegezzi Bossi di Centallo.

Nonostante gli ultimi imprevisti contrattempi sopraggiunti, sperando che le cose si risolvano per il meglio e nel minor tempo possibile, prevediamo di portare a termine lavori entro l’anno 2020.

don Beppe Viada

Considerazioni di don Ezio Mandrile, delegato vescovile per la musica sacra.
Quando viene restaurato un organo a canne in una chiesa può sorgere spontanea una domanda: che senso ha affrontare una spesa non indifferente per il restauro di uno strumento che potrebbe essere tranquillamente sostituito da uno elettronico più moderno a suoni campionati?
La domanda è pertinente e mi sembra di poter tentare una risposa facendo emergere alcuni motivi secondo me validi.

  1. Penso che una comunità ha costantemente bisogno di guardare al futuro, a quello che verrà con i cambiamenti che questo comporterà; ma una comunità può guardare al futuro se ha alle spalle un passato fatto di persone, di storia e di segni attorno ai quali nei secoli quella comunità si è riunita per vivere le sue feste e i suoi lutti. E’ un atto di riconoscenza nei confronti di “coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e ora dormono il sonno della pace” che con costanza, con sacrificio hanno commissionato, costruito, pagato, custodito e suonato per tanto tempo quello strumento;
  2. Uno strumento antico è frutto di un’arte organaria che si è sviluppata e approfondita nel corso del tempo; un’arte tutta artigiana, priva di computer e di tridimensionalità, frutto di esperienza gelosamente custodita e tramandata, perché il suono fosse gustabile e piacevole all’ascolto. Poter riproporre all’ascolto questi suoni affascinanti e avvolgenti nel loro originario splendore può essere
    veicolo di cultura, di approfondimento storico-musicale del repertorio che su questi strumenti e per questi strumenti è nato; quindi poter proporre in adeguati concerti l’ascolto delle tipiche sonorità di quello strumento aiuta questa maturazione culturale e sociale.
  3. Ma soprattutto per un terzo motivo è auspicabile il restauro. Restituire ad una comunità parrocchiale che se ne fa carico la possibilità di ritornare ad usare uno strumento antico fa rivivere e rende attuale il motivo per cui quello strumento è stato commissionato e costruito: la lode di Dio con il canto e la musica. Lo strumento restaurato solo per la memoria o per i concerti è nuovamente
    destinato a spegnersi e morire! Se invece torna a punteggiare con i suoi timbri sonori i momenti di preghiera gioiosi e tristi di una comunità riprende sempre vita e si rigenera continuamente, anche grazie alle persone che si rendono disponibili al servizio di organisti e di animatori del canto dell’assemblea non per trarne guadagno personale, ma per attuare l’elemento essenziale della
    autentica solennità liturgica, cioè la partecipazione attiva – interna ed esterna – di tutta l’assemblea realizzando, anche nelle piccole comunità montane, quello che Musicam Sacram dice al n° 16 “Non c’è niente di più solenne e festoso di una assemblea che tutta esprime con il canto la sua pietà e la sua fede”.

Don Ezio Mandrile