L’amore discerne l’amore

III domenica di Pasqua

At 5,27b-32.40b-41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19

Il vangelo ci pone di fronte alla presenza del Signore risorto che viene riconosciuta dal discepolo amato e da lui comunicata a Pietro. E il Risorto, una volta riconosciuto dai discepoli, ridona unità al loro gruppo smarrito.

Quali caratteristiche presenta il disfacimento di questo corpo comunitario?

Anzitutto la rapidità. Basta pochissimo tempo perché i discepoli che si riunivano insieme almeno ogni primo giorno della settimana, si sfaldino e smarriscano la loro dimensione di comunità.

Inoltre, diversi discepoli non ci sono più. Sembra che alcuni siano scomparsi, se ne siano andati. Ne vengono nominati solo sette che ritornano a fare quello che li rassicura, il loro mestiere. Tre di questi sono i grandi confessori del vangelo, che hanno però vissuto anche una dimensione di incredulità: Natanaele (Gv 1,49), Tommaso (Gv 20,28), Pietro (Gv18,25-27).

La luce del Risorto arriva nella notte, la notte di pesca di Pietro e degli altri discepoli che sono tornati al loro lavoro. Escono in mare, sulla barca, ma non raccolgono nulla. La loro vita, dopo l’intenso tempo vissuto con il loro Maestro, è come vuota.

Capita anche a noi, dopo un’esperienza forte e densa, che la normalità perda sapore, valore, senso. Si rifanno i soliti gesti, il solito quotidiano, ma poi nonostante il darsi da fare, si constata che azioni e parole sono vane. Soprattutto quando si perde qualcuno a cui si è voluto bene, con cui si è fatto un cammino. La sua assenza è come la mancanza di una parte importante di noi e questo riduce la nostra vitalità e forza, nel presente e nel futuro.

Così deve essere stato per i discepoli. Si ritrovano lì dove tutto era cominciato, dove avevano incontrato Gesù, ma sperimentano che è notte e che tra le mani non resta loro nulla.

Ma il nulla della notte non è il tutto, non è la fine.

La notte a un certo punto finisce, arriva l’alba e alla prima luce del mattino lo sguardo dei discepoli che si rialza dal mare e dalla barca coglie qualcuno che aspetta, là, sulla riva, come sulla soglia di un altro mondo. Una presenza sconosciuta che chiede del cibo a chi non ha nulla e che invita a ripetere il gesto della pesca.

Da quanto aspetta? E come si manifesta quella presenza?

«Si manifestò così», annota il testo: come un povero che chiede cibo; come un pescatore abile che dà indicazioni su come pescare per prendere qualcosa dopo una nottata infruttuosa; come uno che si prende cura di loro preparando del pesce da mangiare. E infine come un ospite che li invita a mangiare insieme: «Venite a mangiare».

Come, dunque? In maniera umanissima.

Sono gesti semplici e umani, i gesti della condivisione, della cura e della preoccupazione perché l’altro stia bene.

Chi non l’avesse riconosciuto prima, a questo punto probabilmente dovrebbe saper fare l’unità tra questo gesto e quello compiuto più volte da Gesù tra i suoi discepoli di presiedere un pasto a condividerlo.

Nel testo giovanneo la presenza dello sconosciuto viene riconosciuta come presenza del Risorto dal discepolo amato, per intuizione spirituale, per intelligenza dovuta all’amore.

Quando il discepolo amato capisce che è il Signore?

Dalla sovrabbondanza di pesce che evoca la sovrabbondanza di vino a Cana e la sovrabbondanza di pane nella moltiplicazione (Gv 6,12-13). Quella sovrabbondanza che è la misura di Dio, di colui che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito».

E con amore rispettoso, egli comunica e condivide con Pietro la sua conoscenza. «È il Signore».

Il Risorto si fa presente sulle rive del lago con il linguaggio della sovrabbondanza, dicendo loro ancora una volta che l’abbondanza dell’amore di Dio non è visibile se non nei gesti dell’amore quotidiano, del preparare una tavola, del condividere un banchetto, del vivere la fraternità e l’amicizia.

Il passaggio pasquale avviene così, discretamente, silenziosamente.

È così che il gruppo smarrito ridiviene comunità sulle rive del lago di Tiberiade.

 

 

 

Immagine: Giancarlo Marchese, Acquaforte-monotipo, Lezionario Domenicale e Festivo – Anno C.

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