La situazione di scristianizzazione che il nostro territorio presenta poteva sembrare impensabile anche solo qualche decina di anni or sono. Per qualcuno non è accolta nella sua sfida più profonda, per cui si può ancora pensare che si tratti di circostanza passeggera ed esagerata dall’opinione pubblica e di conseguenza si cerca di rafforzare con tutto il possibile usi e strutture della cristianità, vivendo in modo più provocatorio gesti e segni ritenuti sacri emblemi della religione cattolica!
Eppure scorrendo alcuni testi raccolti nella biblioteca diocesana si possono trovare testimonianze di riflessioni illuminanti in merito al cammino della Chiesa in questi ultimi due secoli. Infatti è da almeno due secoli che anche a Cuneo sono avvenuti fatti premonitori. A partire dall’esperienza giacobina vissuta in città di un tempo di chiese chiuse e campane costrette al silenzio. Di qui è passato Pio VII in una farsa di prigionia, di cui nemmeno i canonici della collegiata di Santa Maria del Bosco hanno osato parlare nei giorni seguenti!
Poi, allora come si rischia di fare oggi, per molti tutto tornò normale. E quando pensatori più attenti hanno posto il dito sulla piaga, sono stati zittiti. Così avvenne per Rosmini, che nel 1848 pubblicò “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa. Trattato dedicato al Clero Cattolico”. Egli denunciava la frattura creatasi da secoli tra il popolo ed i clero nella celebrazione dei culto, incomprensibile per il latino e per cerimoniale ostentato; deplorava l’insufficiente educazione del clero; denunciava la disunione dei vescovi, legati per lo loro stessa nomina de’ vescovi alle logiche del potere laicale e asserviti alle preoccupazioni dei beni ecclesiastici. Lo stesso anno nel seminario di Cuneo il teologo Simone Molineri rinunciò al suo programma di insegnamento della teologia, accusato da confratelli, scandalizzati dal fatto che anteponeva la scuola di Sacra Scrittura a quella della morale; si accontentò di pubblicare le ragioni per cui aveva cercato di aggiornare gli studi teologici.
Passarono altri cinquant’anni, ed all’inizio del novecento nella biblioteca sono presenti altri testi dell’ondata “modernista”, che riproponeva dei tentativi di dialogo con il pensiero moderno ormai lontano dalla teologia. Anche in quell’occasione la reazione ecclesiastica è stata dura, particolarmente nella nostra diocesi, con il breve tentativo del poliziesco “convitto ecclesiastico” in cui formare per due anni i giovani preti!
Intanto anche nel cuneese si avviavano fabbriche con operai fuori dei ritmi sacrali del campanile. Ma furono rari, e spesso redarguiti dai superiori, i preti che solidarizzarono con i primi scioperi. E peggio ancora avvenne con la scristianizzazione dei soldati rientrati dal fronte della prima guerra mondiale. Un certo numero di preti, che avevano condiviso le assurdità delle trincee, si dedicarono in modo più fraterno alla cura dei loro fedeli; ma il clima ufficiale della Chiesa rimase quello dell’apparato, imposto in virtù di santa obbedienza, confermata dal regime che vigeva anche in campo politico.
Fino allo scoppio della terribile guerra mondiale, che arrivò anche a dilaniare le nostre valli con la guerra civile. In quel contesto si alzarono nuove voci sulla scristianizzazione radicale della società europea. Anche il libro inchiesta scritto nel 1943 da Godin: “Francia, paese di missione” è presente in biblioteca. Ma ovviamente qui non poteva essere citato; riguardava la Francia!
Con fatica negli anni cinquanta qualche prete e qualche laico si accostò alla riflessione in atto nella teologia d’oltralpe e nelle esperienze dei preti operai. Può essere interessante notare che il libretto di Henrì de Lubac: “Paradossi cristiani”, sia stato tradotto nel 1959 da don Barra, prete pio stimato anche da parte dei vescovi piemontesi, ma attento al mondo culturale francese. Qui le contraddizioni della società sono collegate con le contraddizioni della vita ecclesiale, lontana dai “paradossi” evangelici, dove all’invocazione “venga il tuo regno” è associata “sia fatta la tua volontà”, intesa come sequela dello stile di Cristo e non di un’obbedienza a gerarchie secondo logiche del potere secolare.
La vasta produzione attorno al Concilio Vaticano II riempie molti scaffali della biblioteca, ma è ormai considerata cosa di generazioni passate.
Nemmeno avvenimenti abbaglianti come l’incendio della cattedrale di Parigi o silenziosi come il vuoto delle chiese per la pandemia sembrano interrogare seriamente la prassi ecclesiale, alla ricerca di forme per salvare strutture, riorganizzare i ranghi di clero e religiosi, sostituendoli con funzionari laici. Anche testi attuali come quello di Riccardi: “La chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo” finiranno presto nella polvere della biblioteca.