Insieme camminiamo. Lettera aperta ai preti e ai diaconi

Il tempo di Grazia è arrivato. È tempo di progettare, di guardare in avanti, di ripartire con fiducia. Ci lasciamo alle spalle l’estate con il ritorno alla quasi normalità. Ho visto parrocchie impegnate in attività rivolte a ragazzi, giovani e adulti. È segno che ci interessano le famiglie, cellule base della Chiesa. In esse, anche noi sacerdoti e diaconi, siamo cresciuti umanamente e nella fede. Nei mesi di settembre ed ottobre ogni anno proiettiamo il nostro sguardo sulla ripresa di attività catechistiche e di coinvolgimento di gruppi e singoli nella vita delle nostre comunità.

Se da un lato c’è ancora un po’ di timore che possano riprendere focolai di pandemia, obbligandoci alla prudenza, d’altro canto c’è attesa di ripartenza a tutti i livelli. Vi invito a porre attenzione ai segni di speranza che vi sono attorno a noi; non sono pochi.

Innanzitutto, occorre fare attenzione a non cadere nella trappola dello «stare a guardare» cosa capita, aspettando chissà quale folgorazione. La storia la scriviamo camminando insieme, coltivando sogni, animando le nostre comunità, dando fiducia, infondendo speranza e portando luce.

Insieme camminiamo, non per ritornare a tutto ciò che ha preceduto questo tempo di prova e di riflessione.

Insieme camminiamo, facendo tesoro dell’occasione della pausa imposta dalle restrizioni alla vita sociale che, tuttavia, non ha spento la voglia di risollevare lo sguardo verso un nuovo modo di tessere relazioni.

Insieme camminiamo curando il dialogo tra di noi, sacerdoti e diaconi, in qualità di pastori delle comunità a cui siamo stati affidati. Proviamo a mettere da parte le frizioni, le gelosie, le rivalità, le freddezze, i presunti torti ricevuti, i giudizi gratuiti poco fraterni, le indifferenze…  Si tratta di provare a lasciarci trovare dai nostri confratelli dando del tempo all’incontro, all’ascolto, al dialogo, al perdono, alla preghiera. Suggerisco di rivalutare gli incontri di formazione che verranno proposti, di vivere con grande partecipazione i momenti zonali, di mettere a parte la fretta. Forse vanno rivisti i tempi delle occasioni che già abbiamo nei nostri appuntamenti. Mi spiego: proviamo ad archiviare i ritardi cronici di alcuni di noi. Proviamo a non aver fretta di andare a casa, per altri, sempre in anticipo rispetto ai tempi previsti in qualsiasi appuntamento. Proviamo a parlare di più su di noi, sui nostri sogni ed aspirazioni, comunicandoci esperienze belle vissute nell’estate. Proviamo a sfondare il muro di estrema riservatezza, tipica delle terre piemontesi. A volte, fa bene passare una giornata a fare quattro passi negli angoli bellissimi delle nostre terre, fa bene sedersi attorno a un tavolo per un po’ di distensione. Fa bene interessarci della salute reciproca senza piangerci addosso. Fa bene correggerci a vicenda e dirci grazie per le ricchezze dei doni ricevuti dal Signore. Fa bene dedicare un po’ di tempo alla lettura, allo studio costante, ad eventi culturali. Fa bene cercare il silenzio del raccoglimento, della preghiera, specie per la liturgia delle ore, di tempi programmati per gli esercizi spirituali. Fa bene vivere con regolarità il Sacramento del Perdono; così possiamo essere credibili quando lo proponiamo ad altri. Fa bene sedersi a tavola con amici, con collaboratori, con chi vive sotto lo stesso tetto, non per guardare la TV, non per sentirsi il rinnovato «resto d’Israele», non per silenzi imbarazzanti, ma per guardarsi in faccia regalandoci i nostri pensieri e provando a sorridere su noi stessi. Ho fatto qualche esempio per dettagliare quello che potrebbero essere alcuni tratti per realizzare l’essere «un cuor solo e un’anima sola»!

Insieme camminiamo con le persone a cui siamo stati affidati (preferisco usare questi termini per indicare i nostri parrocchiani, in quanto non sono «nostri», ma di Dio!). Ricordiamoci che siamo chiamati a presiedere la comunione, quindi non siamo solo osservatori che guardano dall’alto verso il basso ciò che capita, né siamo dei «compagnoni». Con loro viviamo, con loro preghiamo, con loro gioiamo e soffriamo. Diamo responsabilità a chi collabora con noi e riconosciamo questi incarichi. Facciamo lo sforzo di non fermarci su poche persone a noi simpatiche, ma allarghiamo gli orizzonti e facciamo in modo che vi siano tante persone che facciano poco e non pochi che fanno tanto. Come ben sappiamo, è lo Spirito che anima la Chiesa ed è lo Spirito che «soffia dove vuole»! Quando attorno a noi vi è una esigua cerchia di fedelissimi, sicuramente è da rivedere il nostro modo d’essere pastori. Nel Vangelo c’è un comando dato ai Dodici: «Andate!». Chi rimane sbarrato dentro il proprio ufficio parrocchiale non è in sintonia con questo comando evangelico. Prendersi cura della nostra gente e di coloro ai quali abbiamo dato responsabilità implica lo stare al loro fianco. Non basta affidare un gruppo di catechismo, un gruppo di giovani o un gruppo di adulti o di anziani ad un nostro collaboratore. Non basta dargli un libro che fornisca idee per i vari momenti d’incontro. Occorre pensare, programmare, realizzare e verificare il tutto, fianco a fianco. Diversamente i nostri collaboratori si sentono soli. Attenzione: non voglio dire che dobbiamo essere presenti ovunque e comunque. Voglio sottolineare la nostra partecipazione attiva archiviando ogni forma di preziosismo o d’indifferenza.

Insieme camminiamo alle istituzioni e ai gruppi attivi nel nostro territorio. È unendo le forze che ci arricchiamo. Molti problemi sociali richiedono comunione di vedute e d’azione per costruire il bene comune. La Chiesa non può essere sorda agli appelli di chi fa più fatica a tirare avanti. Il Santo Padre, il 26 giugno, a Roma, in occasione dei 50 anni della Caritas, ha indicato tre vie per una efficace testimonianza: la via degli ultimi, la via del Vangelo e la via della creatività. Ha precisato che «dobbiamo guardare la realtà con gli occhi dei poveri»; e che «lo stile di Dio è prossimità, compassione e tenerezza».

Insieme camminiamo e curiamo varie forme di accoglienza. Non si tratta di inventare cose nuove, ma curare il nostro modo di approccio con chiunque. Coloro che mi cercano hanno diritto di vedermi sereno e non di fretta. Coloro che varcano la soglia delle nostre case è opportuno che trovino ambienti semplici, puliti e ordinati. L’incontro con noi può essere mediato anche da persone che ti guardano in faccia e che ti danno cortesemente il benvenuto. Anche dal punto di vista delle celebrazioni liturgiche abbiamo l’imbarazzo delle scelte. Accogliere chi entra in chiesa con la nostra presenza o con quella di qualcuno che ti saluta, fa bene. Anche dopo l’Eucarestia domenicale è bello che il sacerdote (o il diacono) vada sul sagrato della chiesa per stare con chi si ferma a fare quattro chiacchere. È troppo poco dire «potete trovarmi in sacrestia». Coloro che sono un po’ restii ai nostri ambienti, quando si avvicinano a noi in occasione di eventi particolari, sentono il desiderio di non essere giudicati. A tal proposito un proverbio dice che si raccolgono più mosche con un cucchiaino di miele che con un barile d’aceto.

Insieme camminiamo nelle varie Unità pastorali. Le UP non sono un artificio teorico di questi ultimi tempi. Molte diocesi danno importanza ad esse. Alcune hanno addirittura soppiantato le zone. Esse possono sottolineare la territorialità per una maggiore risposta alle attese della nostra gente. Credo sia ormai definitivamente superato lo schema «parrocchia = parroco». Le comunità parrocchiali non possono essere in tutto autosufficienti. Lo scambio e l’aiuto fraterno di operatori è ricchezza che necessariamente supera i confini parrocchiali specie per le realtà più piccole. Ne consegue la volontà di accettare piccoli spostamenti ed accantonare varie forme di campanilismo. Le singole realtà devono conservare le proprie caratteristiche, ma in una logica di apertura e di dono. Eventuali resistenze si superano con pazienza e col coinvolgimento personale.

Insieme camminiamo preparando con la preghiera le prossime Assemblee sinodali che vivremo a partire dal mese di ottobre. Molto è stato fatto finora da parte di singoli e comunità. Purtroppo qualcuno è rimasto al palo di partenza. Pazienza. Non è mai troppo il tempo che dedichiamo all’ascolto. Tantissimo è il lavoro fatto dalla segreteria e dalla commissione preparatoria. Continua tuttora nell’allestimento dei vari momenti assembleari. Non nascondo che confido moltissimo nella riflessione comune che, di fatto, inaugura lo stile sinodale che dovrà avere la Chiesa del terzo millennio. Anche i vescovi italiani, nell’ultima assemblea della CEI hanno parlato di un prossimo sinodo della Chiesa italiana; esso va preparato nelle singole realtà locali con Sinodi diocesani. Noi… per Grazia di Dio, ci siamo in pieno. È probabile che, terminate le assemblee, ci avviamo decisamente verso un’unica realtà diocesana. Non è mia intenzione fare una banale somma delle nostre due diocesi. Mi aspetto stimoli per poter iniziare un nuovo itinerario di Chiesa dove tutti possiamo essere protagonisti nell’annuncio della bellezza del Vangelo. Molte cose cambieranno e non sarà facile. Intanto, già alcuni uffici e servizi diocesani sono unificati. Ci vuole una visione ampia che superi le divisioni ed il particolarismo. Mi piacerebbe archiviare per sempre il «noi di Fossano» e il «noi di Cuneo» per poter realizzare il noi che comprende entrambe le attuali due nostre diocesi.

Mi accorgo che mi sono dilungato un po’. Se siete riusciti con pazienza a leggere fin qui quanto ho scritto, vi ringrazio. Queste mie riflessioni possono essere la base per un confronto che avrò con voi nel mese di settembre, zona per zona. La data e il luogo vi sarà indicato dal Vicario zonale. Dedicherò una mezza giornata per ogni zona e, mi auguro, sia un’occasione per riflettere con calma e senza alcuna fretta.

Cuneo – Fossano, 20 agosto 2021

+ Piero Delbosco

Vescovo di Cuneo e di Fossano