Il cielo contro le difficoltà

“Addolcire la materialità essenziale e grezza di cui è fatta la vita”: questa frase tratta dalla riflessione del mese di don Giuseppe, se portata nel mondo documentario dell’Archivio storico diocesano suscita due riflessioni.
Da un lato gli archivi conservano per lo più documenti di vita essenziale: contabilità, relazioni, progetti, atti notarili e contratti. Parlano degli aspetti più pratici e concreti. Dall’altro però la lettura di questi documenti può far risaltare come i nostri predecessori abbiano cercato di addolcire i loro giorni, anche con metodi per noi discutibili.
Le asperità della vita, provocate da diversi fattori tra cui le scarse conoscenze in termini di scienza ed igiene e le guerre, hanno portato gli uomini e le donne ad alzare gli occhi al cielo e cercare un aiuto. I santi eletti patroni di arti, mestieri e luoghi avevano lo scopo di affidare quella situazione perché non fosse particolarmente dura (o in questa o nell’altra vita). E così avvenne anche per San Michele, patrono della Diocesi e della Città di Cuneo.
Con decreto del 21 febbraio 1821 mons. Amedeo Bruno di Samone, primo vescovo di Cuneo, invitava i parroci a “radunare il popolo in un giorno di festa, previo avviso nel giorno antecedente, e ad esso proporre in Patrono di questa Diocesi l’Arcangelo S. Michele […] ed, avutine i segreti voti, estenderne un atto sottoscritto da voi, e dal Clero di vostra Parrocchia, affinché si possa ottenere dalla Santa Sede l’approvazione della nomina”. In Archivio conserviamo i verbali e dalla loro lettura possiamo leggere l’organizzazione delle comunità di allora, imperniate attorno all’amministrazione civica certamente, ma anche attorno al parroco e ai “maggiori capi di famiglia”.

Per noi contemporanei è diventata un’occasione di vacanza come altre, ma all’epoca, a soli 4 anni dalla creazione della nostra Diocesi, la festa del Santo Patrono era un momento importante sia di fede sia di coscienza identitaria della Città. Ciò è dimostrato anche dai verbali (chiamati ‘ordinati’) del Consiglio comunale: nell’estratto conservato presso l’Archivio si legge che, nella seduta del 23 dicembre 1826, il Sindaco ha dato lettura di una lettera del Vescovo. In tale lettera si chiedeva alla Città, come già avevano fatto altri comuni, di esprimere il proprio assenso alla scelta di S. Michele come patrono e protettore, per poter procedere con l’istanza presso la Santa Sede. “E il doppio Consiglio […] riconoscendo essere veramente della massima importanza che questa nuova Diocesi sia provvista del suo Patrono, come lo sono tutte le altre vicine, onde anch’essa possa godere di tutto quel maggior decoro e lustro”, tenuto conto che nel settembre 1630 i capi di casa avevano edificato una cappella al Santo dedicata per la liberazione dalla peste, poi divenuta chiesa cattedrale, “all’unanimità de’ voti ha pur esso dal suo canto eletto e nominato, come elegge e nomina definitivamente a Patrono titolare di questa Città e Diocesi lo stesso Arcangelo S. Michele”.
Così avvenne e da allora S. Michele è invocato in occasioni di feste, ma soprattutto nelle difficoltà: pestilenze, guerre, assedi… Non bastano le conoscenze, non basta la scienza, non bastano i soldi: per l’epoca occorreva rivestire la vita quotidiana di una protezione più grande, di una “dolcezza” più grande. La commistione che si crea tra civile e religioso a noi sembra una cosa strana, anzi da evitare, mentre fino a poco più di mezzo secolo fa era forte e dimostrava anche il senso di appartenenza ad una determinata comunità.
A noi del Santo Patrono è rimasta una celebrazione, a cui partecipano le autorità civili, e fino a qualche anno fa anche i fuochi d’artificio. Tolti quest’ultimi, è sano interrogarsi sul senso di questa festa e gli archivi possono aiutarci. Ogni archivio può fornire una fotografia realistica di come si vivesse nei tempi passati, di come i nostri antenati avessero tentato di addolcire e dare un senso alla propria vita. Con queste premesse potremmo anche noi immaginare nuovi modi di dare dolcezza, di superare la “nuda razionalità”.