“Arte nostra” di don Carlo Dutto

Sono stato alunno di don Carlo Dutto durante i cinque anni del ginnasio – liceo. In ginnasio, erano gli anni ’50, aveva adottato come testo di grammatica italiana il volume a cura di Panzini e Vicinelli dal titolo: “La Parola e la Vita”.  Titolo che mi pare una sintesi appropriata del suo insegnamento.  Anzitutto la Parola, strumento espressivo e di comunicazione, strumento duttile ma ambiguo, che va pertanto interpretato. E ripenso alla fatica di don Dutto per arricchire il nostro povero vocabolario, per iniziarci alla potenzialità e alla complessità dello scrivere.  E poi il riferimento alla Vita.  La lingua e la letteratura italiana furono occasione per aprirci alla lettura non solamente dei classici della letteratura, ma alle pagine dei critici e alle opere di storia. Ci ha insegnato a leggere, ad amare i libri, per leggere e capire la vita. E con grande discrezione ci faceva capire che sia la parola che la vita possono essere scritte con la maiuscola.   Fu un educatore al buon gusto, nemico delle frasi fatte e dei discorsi sciatti. Lo ricordo nel biennio teso soprattutto a sollecitare il nostro interesse, ad introdurci nel mondo della parola, attraverso i sapidi schizzi di storia letteraria e la lettura in classe di pagine significative di poesia e di prosa, dove lui, sempre così riservato e controllato, declamava investendosi dei vari ruoli. Mentre nel triennio era più esigente sulla rigorosità del metodo.

Maestro di gusto, di buon gusto, sollecitando il nostro interesse e offrendo sempre un accostamento documentato e preciso.  Educazione al bello che trovava il suo terreno più favorevole nelle lezioni di storia dell’arte.  Dove non erano sufficienti le riproduzioni delle opere d’arte riportate dai testi, perché buona parte dell’esposizione consisteva nel commentare fotografie proiettate con un apparecchio artigianale, dimostrazione evidente di come la passione riuscisse a piegare la tecnica.

Fu negli anni del triennio liceale che chiese la nostra collaborazione per l’allestimento della mostra di arte sacra.  Collaborazione che di giorno consisteva in lavori di bassa manovalanza e di notte nel dormire a turno nel salone del palazzo della Provincia, custodi disarmati e sonnacchiosi dei tesori artistici della nostra diocesi. Non vi fu alcun tentativo di rapina e l’esperienza si concluse con un vantaggio economico, allora particolarmente prezioso, e con un arricchimento di conoscenze di storia e di arte, vera scuola di vita.