Abitare

«Disteso sul mio tavolaccio / fisso la grigia parete …». È l’inizio della poesia Voci notturne del prigioniero Dietrich Bonhoeffer, rinchiuso in una cella a Tegel (Berlino) durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra mondiale. (D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, 481). In un solo verso dice che cosa significhi abitare: fare proprio lo spazio che la vita ci dà. La cella della prigione, la stanza in cui si chiude la giornata o quella dell’ospedale, dell’hospice, della casa di riposo, la cucina, il cortile, l’officina, la stalla, l’ufficio … sono luoghi da abitare. Talvolta la libertà è ridotta al minimo per cui abitare significa soprattutto riempire del proprio sguardo le cose. Altre volte lo spazio di creatività è maggiore e ciascuno può diventare artigiano e artista del proprio habitat con le cose e gli allestimenti. Ecco un campo fondamentale della cultura: abitare gli spazi del mondo, le foreste e le metropoli, la campagna e le montagne, gli interni delle case, le piazze, i cimiteri, i mercati … La natura diventa tempio, gli ecosistemi diventano comunità, gli edifici diventano case, le stanze diventano casse di risonanza delle anime …