Omelia nella Messa del Crisma 2024

28-03-2024

Non vi nascondo la mia gioia ed attesa di questo particolare momento di Chiesa in cui, in occasione della benedizione degli oli per i catecumeni e per i malati e la consacrazione del Crisma, vescovo, sacerdoti e diaconi siamo radunati quasi al completo. Sentiamoci uniti anche a chi è assente per ragioni di malattia, di distanza, o per altri motivi. Vorrei che ci sentissimo uniti anche a tutti coloro che hanno lasciato il ministero: sono nostri fratelli che non possiamo dimenticare, mai.

Un giorno siamo stati unti, consacrati, riempiti di Spirito Santo, non per nostra scelta, non per le nostre qualità umane, ma per disegnazione della Chiesa. Dio si è fatto sentire, ci ha accompagnati, ci ha guidati e continua a farlo con tanto amore e predilezione, e, se facciamo attenzione, è un vero miracolo che si moltiplica nella nostra storia personale ed ecclesiale. É inevitabile andare a quel giorno in cui abbiamo ricevuto il sacramento dell’Ordine. Forse eravamo giovani, senz’altro inesperti, pieni di trepidazione, magari anche un po’ incoscienti. É stato l’inizio della nostra risposta ad un così grande dono d’amore che il Signore continua a farci. Quel giorno è stato una prima tappa del nostro itinerario di ricerca. Essa va avanti oggi e siamo sempre tesi a decifrare i segni, gli appelli, le situazioni varie della vita in cui Lui ci parla. Lasciamolo parlare e cogliamo le novità con le quali non smette di stupirci. “Signore, cosa vuoi da me, adesso?”: è l’interrogativo che non deve mai venire meno.

Siamo stati chiamati a vivere e ad annunciare il suo Vangelo. Siamo uomini della Parola. Siamo credibili nella misura in cui la viviamo, la cerchiamo, da essa ci dobbiamo lasciare fare, modellare, giudicare. Non da altro. Di fronte ad essa ci collochiamo sempre con dovuto rispetto. Ha in se immense novità che ci interpellano e, spesso, non ci lasciano tranquilli. Di essa non siamo dei professionisti, tantomeno padroni, ma autentici discepoli che hanno ben chiaro che va portata nei vari ambienti di vita dove svolgiamo il nostro ministero. “Lampada dei miei passi è la tua Parola!”.

In secondo luogo, siamo operatori di carità. Ricordiamoci che siamo il riflesso dell’amore di Dio che ci riversa per coloro ai quali siamo stati affidati. E’ un compito immenso che si traduce in uno stile di amore per tutti, per coloro che ci sono vicini e per coloro che stanno di più ai margini della vita ecclesiale. Anche coloro che non sono credenti hanno diritto al nostro interessamento semplicemente perché anche loro sono figli di Dio. Da questi ultimi, non di rado, ci capita di ricevere lezioni di vita e ciò non è una novità; penso a quel centurione romano che aveva avvicinato Gesù e da Lui aveva ricevuto forse il più bel complimento: “Davvero in Israele non ho trovato una fede così grande!”. La carità, che per vocazione siamo chiamati a presiedere, può avere molti riflessi e sfaccettature. Spesso è fatta anche di cose da condividere. Spesso è fatta dalla pazienza dell’ascolto e dell’accoglienza di chi bussa alla nostra porta. Spesso è fatta dalla partecipazione empatica con chi è nella gioia e con chi è nella sofferenza. Riguarda anche l’accorgerci di chi fa più fatica nella vita e vive momenti di solitudine. Insomma, è uno stile dell’esistenza che non può esser delegata.

In terzo luogo siamo stati designati ed inviati a pascere il popolo di Dio, in particolare quella porzione che incontriamo nel nostro specifico ministero. Nell’essere guide e pastori, sperimentiamo tutta la nostra fragilità. Non siamo onniscienti, ne portatori di ogni soluzione. Il compito nostro è portare a Dio coloro a cui siamo stati affidati, Lui è il vero ed unico Pastore. Da parte nostra dobbiamo tirar fuori tutta quella pazienza necessaria nell’accogliere chiunque. Facciamo sempre attenzione a regalare il sorriso e la benevolenza anche a chi vediamo per la prima volta; quell’incontro, a volte, condiziona tutto il resto. Guai scandalizzare chi è più fragile e, con timore, viene a noi

Come Chiesa cuneese e fossanese stiamo vivendo momenti particolari di Grazia; la storia odierna in cui siamo inseriti ci ha portati ad essere un’unica Chiesa locale mettendo insieme storie diverse con tanti tratti in comune. Non è facile guardare nella stessa direzione, ma ci stiamo provando. Vi confesso che non smetto di ringraziare il Signore per l’esperienza profonda del nostro sinodo interdiocesano, ci accomuna il desiderio di rinnovamento e la necessità di trovare strade nuove per portare a tutti la novità, l’attualità e la bellezza di Gesù. Sto vedendo che qualcosa si sta muovendo e ciò è opera del soffio dello Spirito che non viene mai meno. Un passaggio delicato è il ripensamento sulle nostre parrocchie e, soprattutto, sulla nostra presenza anche in altri settori della vita ecclesiale. Non può venir meno la nostra presenza tra i giovani ed i ragazzi, a fianco delle famiglie, negli ospedali, nelle case di riposo, nella scuola e nel mondo del lavoro. Essenziale è mettere in questione la nostra presenza di pastori, diaconi e sacerdoti. Tocca a noi andare, tocca a noi essere uomini di comunione, tocca a noi costruire legami e relazioni, tocca a noi portare speranza.

Ho voluto che il tempo della quaresima, ormai quasi conclusa, e il tempo pasquale fossero segnati dalla preghiera. Essa nasce dalla Parola di Dio per illuminar tutta la nostra esistenza. Ogni cosa va portata a Dio; non c’è nulla che possa essere considerato indegno dal poterlo elevare nelle mani del Signore.

 Vi chiedo d’essere essenzialmente uomini di preghiera. Date del tempo a Dio, non solo nelle azioni liturgiche, ma fatelo nel silenzio delle chiese, nel silenzio delle vostre case, nel silenzio davanti al Santissimo, nel profondo delle coscienze e nella richiesta del perdono a Dio.

Vi chiedo di pregare per la nostra bella Chiesa. Qualunque scelta operiamo, sia messa nelle mani di Dio perché possa passare il Vangelo qui, su questa porzione di popolo di Dio a noi affidata. Mettiamo nelle mani di Dio la richiesta d’essere flessibili e disponibili per un rinnovamento interiore ed esteriore. Non dobbiamo aver paura delle novità: se siamo con Lui, se siamo nella sua volontà, non dobbiamo temere.

Vi chiedo di regalarvi una preghiera gli uni gli altri. Pregate Dio per la vostra fedeltà e per quella di chi vi sta accanto, adesso. Esser parte del medesimo presbiterio è un dono grande ed è altrettanto un impegno da portare avanti insieme nella comunione con l’Autore della vita. In particolare chiediamo a Dio luce per chi di noi sta passando momenti di prova e di smarrimento.

Vi chiedo di pregare per le persone a cui siamo stati affidati, per la nostra gente. A volte ci mettono in difficoltà, ma, ben più spesso, ci sostengono nella preghiera. A loro dobbiamo essere riconoscenti per il bene che ci vogliono.

Vi chiedo ancora di pregare per la difficile situazione internazionale specie dove sono in atto assurde guerre dove non vediamo spiragli di pace. Il mio pensiero va ai popoli europei, ai paesi africani e alla terra dove è vissuto il Signore Gesù. Ci ferisce vedere disastri umanitari proprio lì dove 2000 anni fa è stata proclamata la lieta notizia. Sappiamo che nulla è impossibile: chiediamo a Dio la pace, che non è assenza di conflitti: chiediamo la pace vera, possibile oggi.

Infine, tra qualche mese prenderà il via il tempo del Giubileo. Inizierà l’otto dicembre. Sia un vero tempo di Grazia, di ritorno a Dio, di riscoperta del dono della fede. Sono certo che lascerà un segno e che ci riserverà belle sorprese. Sono le sorprese di Dio.

Termino ringraziando Dio per essere qui con voi. Grazie per la vostra vicinanza, grazie per la pazienza che avete nei miei confronti. Grazie per il vostro ministero e per gli esempi che mi date continuamente.