Omelia nella Messa del Crisma 2023

06-04-2023

L’appuntamento che viviamo oggi è un momento a cui tutti siamo legati e a cui siamo presenti quasi nella totalità. Anche se mancano alcuni dei nostri confratelli ci sentiamo particolarmente uniti anche a loro perché vogliamo essere un cuor solo e un’anima sola o per lo meno tendiamo a questa meta.

Il Giovedì Santo è il giorno dell’istituzione dell’Eucarestia: lo ricorderemo questa sera con le nostre comunità. Ma questa mattina vogliamo celebrare la scelta che il Signore ha fatto: di continuare la sua missione mettendola nelle nostre mani e servendosi di noi, nonostante le nostre povertà e fragilità. Se un giorno gli abbiamo detto «sì» è perché ci siamo innamorati di Lui, della Sua Parola, del Vangelo e, con una discreta dose d’incoscienza, ci siamo avventurati per questa strada. Ecco il nostro essere pastori chiamati dal Signore secondo i vari gradi e mandati in mezzo al popolo, per il popolo, con il nostro popolo. Far parte dello stesso presbiterio non è una realtà statica ma vuol dire vivere il dono d’essere all’interno di un unico corpo, variegato, con varie sensibilità, dove vi sono differenze, amicizie e compiti immensi. Questa mattina, ognuno di noi è qui con la propria storia, con le proprie qualità e difetti, con la mente e il cuore proiettati verso il triduo pasquale, con tutte le preoccupazioni per coloro a cui siamo stati affidati, ma riconoscenti d’essere tra i suoi, cioè tra coloro che ha scelto e mandato a coltivare la sua vigna. Il Signore si è fidato di noi e vuole che ci sosteniamo camminando insieme. Attenzione ai passi falsi che, a volte, facciamo quando si affievolisce il senso del presbiterio. Non ha senso un prete che viva da solo. Non ha senso un prete che ritiene di fare a meno di una formazione permanente. Non ha senso un prete che si pone in perenne giudizio sugli altri e, senza dirlo, si ritiene uno degli ultimi del resto d’Israele. Non ha senso un prete che si chiude in sé stesso, che non vuole costruire relazioni con chi ha ricevuto il medesimo mandato. Non ha senso un prete che non prega o che svolge il suo ruolo con freddezza magari dandosi anche molto da fare. Non ha senso un prete che ignora l’ascolto, la contemplazione, il nutrimento della Parola. Non ha senso un prete che si sente staccato dalla sua gente, dalle loro ansie e preoccupazioni, dalla vita sociale. Non ha senso un prete che cerca di evitare il silenzio per non pensare. Capiamoci: non penso questo di voi. Anzi, sono ammirato ed edificato dall’impegno e dal dono che fate di voi stessi agli altri. Tutto ciò mi viene confermato da tanta gente che vi apprezza, che ci tiene alla vostra presenza, che si preoccupa di voi e che prega per la vostra santità. Sono tanti, molto più di quel che pensiamo.

Vorrei che ci concentrassimo sulle parole del profeta Isaia, riprese dal Signore in quella sinagoga a Nazareth; «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia». Qui vi è il programma e lo schema per una verifica della nostra vita sacerdotale.

Un giorno le nostre mani, per noi vescovi anche la testa, sono state unte, consacrate. Sono momenti ben scolpiti nel nostro cuore e, ogni tanto, è opportuno fare memoria della nostra ordinazione. Al di là del ricordo, facciamo memoria dei sogni che coltivavamo, pieni di speranza, certi della fedeltà di Dio, forse … con un po’ d’incoscienza. Si apriva davanti a noi un mondo che pensavamo di conoscere. Ho usato la parola «sogni» pensando a don Bosco che diceva: «Un prete che non sogna non è un prete!». Noi siamo il frutto dell’amore e dei sogni dei nostri genitori. Ma prima ancora, siamo il frutto del sogno di Dio per noi: ci ha scelti, ci custodisce, non ci lascia assopire, ci sprona e, un giorno, ci attende per stare sempre con Lui. Noi dobbiamo fare i preti in questa nostra realtà segnata da vari malesseri, da varie pandemie, quali la depressione, il soddisfacimento immediato dei propri desideri, il tecnicismo, la velocità, il godimento, la bulimia, le devianze, l’isolamento sociale… Spesso, anche noi siamo vittime di questi mali che, se si annidano, ci lasciano apatia e tristezza. Sono aspetti che non hanno nulla a che vedere col Vangelo di Gesù. Noi parliamo di conversione, di purificazione, di gioia evangelica, di un futuro bello e totalizzante, di scelte, di impegno e donazione, di pace, di condivisione. Ma ne siamo veramente convinti? La nostra gente legge sul nostro volto se crediamo alle nostre parole. La certezza della Lieta Notizia di Gesù non può non trasparire dalle nostre persone, da quello che viviamo, dalla nostra freschezza che non è caratteristica solo dei più giovani, dalla serenità che può emergere anche nel nostro fare.

Siamo stati inviati “a portare il lieto annuncio ai poveri e rimetterli in piedi”. Tutti abbiamo a che fare con i poveri. Ci suonano il campanello a tutte le ore e, spesso, si arrabattano a raccontarci storie non sempre vere per commuoverci. So che molti di voi pagate di persona nel sostenere questi nostri fratelli e sorelle. Lo sappiamo bene, la vera povertà è disarmante. Va accompagnata. Va educata con tanta pazienza. L’esperienza della Caritas diocesana e quella delle Caritas parrocchiali sono fonti di vera meditazione. Anche la povertà della gente che sta bene, che non ha problemi di soldi, che apparentemente non ha bisogno di nulla, anche questa povertà ci interpella specie quando c’è assenza di valori. Ancora penso a tutti coloro che sono diversi e chiedono attenzione senza essere giudicati per le loro scelte. Tutti i poveri hanno diritto al nostro ascolto, alla nostra pazienza, al nostro coinvolgimento. Un giorno, ce lo ha detto il Signore stesso, ci giudicheranno quando saremo con Lui.

Cari confratelli nel sacerdozio e nel diaconato, siate pieni di gratitudine per tutte le circostanze della vostra vita. Mi spiego. La gratitudine va innanzitutto a Dio perché siamo sul suo cuore e non si è ancora stancato di noi. Ci sostiene, ci illumina, ci corregge con tanta finezza, ci ama. La gratitudine vada per tutte le circostanze della vita sia del passato sia del presente. In esse scorgiamo il dito di Dio. Anche i momenti più dolorosi, anche i fallimenti, anche le prove ci forgiano e ci fanno sollevare la testa oltre le ombre per cogliere la sua luce. Dobbiamo essere grati a Dio per la gente a cui siamo stati affidati. Ci guardano, ci cercano, ci scusano, ci sono vicini. Ancora, la gratitudine deve sfociare nel perdono da dare e da imparare a ricevere. La gratitudine ha in sé anche la componente dell’accettare i nostri limiti. Se li vediamo, poco alla volta li possiamo correggere.

Ritornando alla pagina evangelica che abbiamo letto, essa conclude con l’espressione «mi ha mandato a proclamare l’anno di Grazia!». Lo abbiamo vissuto nel tempo del Sinodo diocesano, specie nelle assemblee, dove sono emerse le nostre speranze per un rinnovato annuncio del Vangelo. Ho colto che ci sta a cuore il Vangelo; ci sta a cuore la nostra Chiesa; ci sta a cuore il futuro della nostra diocesi. Io non ho l’impressione che tutto sia finito e tutto si stia assopendo. No. Ci sono veri germogli che cominciano ad affiorare. Come in natura i germogli vanno curati, coltivati ed innaffiati, così spetta a noi, suoi ministri, a far emergere la Grazia di Dio. Mi riferisco alla voglia di ripartire che si respira nelle nostre parrocchie ed aggregazioni; in esse abbiamo qualcosa da dire e da testimoniare. Mi riferisco al cammino dell’accorpamento delle nostre due realtà diocesane, ormai fuse in un’unica nuova diocesi. Sono cosciente e sto sperimentando un po’ di fatica che stiamo facendo da ambo le parti perché si tratta di un nuovo stile e nuove prospettive anche di tipo organizzativo. Non è possibile avere tutto e subito. Ma piccoli passi sono già stati fatti e ci stiamo accorgendo che non siamo poi così diversi. Ci sono molti doni che iniziamo a condividere. Fatichiamo di più a parlare di noi stessi, ad ascoltarci, a sostenerci tra preti e diaconi. Forse è una forma di riservatezza che dobbiamo superare. Ma guardiamo di più al positivo che già c’è. Mettiamo da parte le critiche, i pettegolezzi ecclesiali, i risentimenti del passato, le lamentele. Impariamo a dialogare di più, a lavorare maggiormente insieme, a rallegrarci di più nei momenti di distensione quantomai necessari, a pregare di più gli uni per gli altri. Vi confesso che qualche settimana fa, mi sono commosso in un momento di confronto con uno di voi, qui presente. Mi diceva: «Da tempo, nella recita del Rosario sto aggiungendo un sesto mistero. Lo prego per te, per don Carlo e per don Flavio». Grazie per la vicinanza che dimostrate a me e ai due vicari. Grazie per la vostra preghiera. Perdonateci se non sempre siamo attenti a voi come dovremmo sempre fare.

In questa giornata particolare, regaliamoci una preghiera sincera a vicenda. Fate pregare la vostra gente per noi, per il nostro ministero, per la nostra fedeltà a Dio, per la nostra conversione. E non dimenticate di ringraziare le vostre comunità e le parrocchie a cui siete stati affidati per tutto il bene che vi vogliono.

Termino invitando me e voi a pensare all’esempio che il Signore ci ha dato proprio prima di istituire il sacerdozio ministeriale ed il sacramento dell’Eucarestia. Si era cinto di un grembiule e ha lavato i piedi ai suoi. Cosa vuol dire, oggi, cingermi di un grembiule nella mia realtà?

Signore, insegnaci ad amare, a servire, a stare con chi più fa fatica, a stare con Te. Insegnami a rinnovare gli impegni che un giorno mi sono assunto come sacerdote, come diacono, come vescovo. Grazie perché continui a scegliermi e non ti stanchi mai nell’accompagnarmi lungo le strade ed i sentieri di questa nostra bella e amata Diocesi! Amen!

L’olio dei catecumeni, che ora benediremo, introdurrà nella Chiesa nuovi cristiani; preghiamo per le nostre famiglie perché siano chiese domestiche dove si impara ad amare Dio.

L’olio per i malati ci porta a pregare per coloro che visitiamo regolarmente nelle loro case e per coloro che stanno per passare all’altra sponda della vita. Certamente anche qualcuno di noi lo riceverà. Sia un vero sollievo nella prova.

Il Sacro Crisma confermerà i nostri ragazzi e qualche adulto; produca in loro la voglia di camminare sempre nella fede. Forse sarà anche usato per un nuovo sacerdote. Lo avvolgiamo fin d’ora dalla nostra preghiera e, nello stesso tempo, chiediamo a Dio, senza stancarci, nuove vocazioni sacerdotali. Dio benedica la nostra Chiesa locale.