Perché il 24 marzo? Nel 1980 in quel giorno l’arcivescovo di San Salvador Óscar Romero veniva assassinato, mentre celebrava l’Eucaristia, per mano di un sicario degli squadroni della morte agli ordini di un regime violento ed oppressore. La sua testimonianza è all’origine della celebrazione della Giornata dei Missionari Martiri che da oltre trent’anni la Chiesa propone alle comunità.
Questa giornata innanzitutto ci coinvolge nella memoria di tanti fratelli e sorelle uccisi in missione: sacerdoti uccisi mentre stavano andando a celebrare la messa con la comunità che guidavano; una religiosa medico uccisa mentre era di guardia al centro sanitario della diocesi, pronta a salvare la vita di altre persone; una suora uccisa durante un assalto alla missione che invece di pensare a mettere in salvo la propria vita si è preoccupata di andare a verificare che quella delle ragazze ospitate nel dormitorio fosse al sicuro; ancora un laico, operatore pastorale, ucciso mentre andava verso la chiesa a guidare una liturgia della Parola per i fedeli di quella zona; testimoni e missionari della vita, con la loro vita che hanno offerto fino alla fine totalmente e gratuitamente.
Al contempo la memoria intende abbracciare l’infinita schiera di cristiani anonimi vittime della violenza che anche ai giorni nostri si accanisce contro chi professa una fede diversa e uccide in nome di Dio. Il loro sacrificio ci ricorda che il Vangelo è più vivo che mai e nutre la forza di andare avanti, nonostante tutto, anche in contesti difficili e pericolosi. «Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare, – diceva Romero – ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia un seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto realtà».