Una sola porta, un unico pastore

IV domenica di Pasqua (Anno A)

At 2,14.36-41; Sal 23 (22); 1Pt 2,20-25; Gv 10,1-10


«Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime»: così si legge nella seconda lettura.

Errante era il popolo d’Israele, erranti erano i discepoli dopo la morte del loro Maestro, erranti siamo noi, errante è l’umanità.

Pietro nel suo discorso afferma: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2, 36). Parole, quelle di Pietro, che trafissero il cuore degli uditori, perché la sua è come la voce del pastore di cui si parla nel vangelo: il pastore vero, quello che entra dalla porta e non ha bisogno di sotterfugi per avvicinarsi alle pecore, che non solo entra nel recinto, ma sa entrare nell’anima di chi ascolta la sua voce e la sua parola.

Accadde così ai discepoli di Emmaus, che si sentirono ardere il cuore mentre il Viandante spiegava loro le Scritture.

Chissà se quella parola sa trafiggere ancora i cuori, le viscere di coloro che sono «nel recinto» (cioè la comunità ecclesiale).

I capi dei Giudei, che si erano comportati non bene con il cieco nato, erano stati giudicati da Gesù: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane» (Gv 9, 41). Giudizio severo che tra l’altro il Maestro estende a tutti coloro che, venendo prima di lui, non gli hanno aperto una strada atteggiandosi da padroni del gregge.

Papa Francesco ha reso famosa l’espressione che i pastori devono impregnarsi dell’odore delle pecore. Ma ancor prima di questo sono le pecore tutte (vescovi, presbiteri, diaconi o laici) a essere chiamate a impregnarsi dell’odore del «buon pastore». Tutti i credenti sono chiamati a varcare un’unica porta e a seguire un’unica guida; la differenza tra la pecora posta alla testa del gregge e le altre conta assai meno della realtà che tutte le accomuna: l’ascolto del buon pastore.

Le parole di Gesù si muovono su uno sfondo familiare alla vita palestinese. La sera i pastori conducono il gregge in un recinto per la notte. Un recinto comune serve generalmente a diversi greggi. Il mattino ciascun pastore grida il suo richiamo e le pecore – le sue pecore che conoscono la sua voce – lo seguono.

Per noi questo riferimento può dire poco, oltre che creare una certa resistenza nel sentirsi associati, come fedeli, a una pecora. Complice è sicuramente la lingua italiana, che associa questo animale a coloro che non ragionano con la propria testa, i cosiddetti «pecoroni».

Qui il termine “pecora”, però, non è dispregiativo. Non si tratta dei creduloni, ma l’opposto: coloro che sono capaci di «conoscere la voce» del vero pastore, che hanno la capacità di fare discernimento, di scorgere tra le mille voci quella che dona la vita e la libertà.

Nella vita di ogni persona ci sono delle situazioni o addirittura delle tappe prolungate in cui si può sperimentare disorientamento. E per esperienza sappiamo che quando si è disperati, quando si attraversa una valle oscura (per usare l’espressione del salmo 22) si da ascolto ad ogni voce pur di uscire da una situazione senza sbocco. In questi momenti non sempre si riconosce chi ci può guidare per il giusto cammino. Anche noi, come la folla che ascoltava Pietro, chiediamo: «Che cosa dobbiamo fare?». «Convertitevi», è la risposta di Pietro, che alla luce del vangelo può essere tradotto con: «Ascoltate la voce del buon pastore». La fede trova il suo fondamento sicuro solo sulla parola di Colui che è il buon pastore perché si è fatto agnello condotto al macello. Nella sua esistenza non è rintracciabile nessuna falsità pur di avere un discepolo in più; nessuna prospettiva che non fa seriamente i conti con la durezza del vivere. «Non si trovò inganno sulla sua bocca», disse Pietro (1 Pt 2, 22).

È lui la porta. Non abbiamo altre vie per giungere al volto di Dio e alla pienezza di una vita buona. Certo è che il Pastore chiede ai discepoli un confronto abituale con la sua parola, per riconoscere lì la voce familiare del pastore e ad essa affidarsi con fiducia.

 

 

 

Immagine: Anton Mauve, Il pastore e le pecore (1880)