L’abbiamo custodita, noi la Parola?

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Is 58,7-10; Sal 111; 1 Cor 2,1-5; Mt 5,13-16


Uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, Georges Bernanos, sentiva di essere stato chiamato a diventare un testimone del vangelo attraverso la sua vocazione di scrittore. E immagina che Dio Giudice, nell’ultimo giorno gli dirà: «Restituiscimi la mia Parola» e così lo scrittore si pone la domanda: «L’abbiamo custodita, noi la Parola? E se l’abbiamo custodita intatta, non l’abbiamo messa sotto il moggio?».

Nel romanzo più famoso di Bernanos, Diario di un curato di campagna, il vecchio parroco di Torcy dirà al giovane curato d’Ambricourt: «Caro amico, Cristo non ci ha mandato perché fossimo il miele della terra, ma il sale della terra. E il sale è aspro. Cristo, ci ha messo in mano una parola che è incandescente come un ferro. Non è possibile non scottarsi».

San Paolo dice di essersi presentato alla comunità di Corinto dicendo: «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e Cristo crocifisso» (1 Cor 2,2). Parole dure, salate, quelle sullo scandalo della croce di Cristo che ieri come oggi danno fastidio: un segno del sale che brucia.

Ma c’è comunque anche uno stile che va appreso per annunciare quella Parola. San Paolo alla comunità di Corinto dice: «Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione».

A quella comunità che amava le cose appariscenti san Paolo rivela che la luce del vangelo non è un faro che acceca e confonde. Del resto una luce abbagliante, troppo forte, non illumina, ma produce cecità. La luce del vangelo assomiglia di più alla tenue lampada che si pone accanto al letto di un ammalato per consolare, rassicurare, confortare; è luce quando condivide il proprio pane con chi ha fame, ospita in casa i miseri senza tetto, dona un vestito a chi è nudo, non distogliere gli occhi da chi vive al nostro fianco in condizioni disumane. Come scrive il profeta Isaia, se praticherai questa nuova giustizia «la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. La gloria del Signore ti seguirà… brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (Is 58,7-10).

«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli».

La parabola del sale è raccontata subito dopo le «beatitudini”. Il cristiano è sale se accoglie integralmente le proposte del Maestro, senza aggiunte, senza modifiche, senza i «ma», i «se» e i «però» con cui si tenta di ammorbidirle, di renderle meno esigenti, più praticabili.

Una parola esigente, da porre in alto, perché sia luce per il mondo senza occultare, velare le parti più impegnative del messaggio evangelico.

Ai discepoli non è chiesto di difendere o di giustificare le proposte di Gesù, devono solo annunciarle, senza paura, senza timore di venire derisi o perseguitati. Esse saranno per gli uomini come una lampada che «brilla in un luogo oscuro finché non spunti il giorno e si levi la stella del mattino» (2 Pt 1,19).

 

Immagine: dal film di Robert Bresson, Il diario di un curato di campagna (1950)