La via e la casa

V Domenica di Pasqua (Anno A)

At 6,1-7; Sal 32; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12

«Io sono la via», dice Gesù.

Ma i discepoli, cercavano una strada o una casa?

Probabilmente tutte e due.

Il problema è che la casa per loro era già trovata, quella dove c’era il Maestro e loro con lui. Ora però quando Gesù parla della sua imminente partenza, il loro cuore fu turbato. Faticano a credere, in quel momento, nella sua promessa di una casa destinata a rimanere per sempre. Ma proprio perché si trattava di una casa distante, per raggiungerla occorreva anche un cammino.

Casa e strada: elementi che sembrano distanti tra di loro.

La casa è il luogo della dimora, la strada invece è lì per un passaggio. Nella casa si abita, lì si è nati, lì si è stati nutriti, educati, accolti, amati. Nella casa si fa esperienza del mondo come volto familiare e fidato: dai volti conosciuti si impara a guardare anche tutto ciò che sta fuori; e non solo a guardare, ma anche ad andare verso quel fuori, certi che sempre si può tornare e stemperare nel grembo della casa tutto ciò che apparisse strano, aspro o addirittura spaventoso lungo la strada.

Ma viene il giorno dove la casa appare stretta, soffocante, quasi una prigione. Cresce il desiderio di uscire. Si è attirati dalla strada, anche se nello stesso tempo, nascosto, è contemporaneo il desiderio di non partire mai dalla propria abitazione.

La casa diventa però un’altra rispetto quella da cui si era partiti. Una casa nuova, di cui già avevi visto promesse in quella d’origine. Ma di quest’altra dimora non abbiamo un’immagine chiara e compiuta; abbiamo soltanto delle intuizioni, una direzione un po’ confusa verso la quale andare.

Quella sera, che era l’ultima, suscitava presagi sinistri di una fine imminente. I discepoli erano comprensibilmente turbati; così tanto da non riuscire più ad ascoltare le parole del Maestro.

E a loro, come a noi, Gesù dice: «Non sia turbato il vostro cuore».

I discepoli sono tristi perché hanno sperato nel Maestro, ma Gesù sta per andarsene, lontano da loro; sta infatti per morire. Più lontano di così!

In realtà la sua morte non è quel che i discepoli pensano; non è la resa allo strapotere della violenza, dell’odio e della menzogna. È invece l’esito di una sfida che Gesù stesso ha lanciato alle forze del male. Egli non è tragicamente strappato al loro affetto; si è invece offerto liberamente per loro. Non fugge; va invece a preparare un posto per loro nella casa del Padre suo.

«Nella casa del Padre mio ci sono molti posti. Vado a prepararvi un posto», e a quel posto voi dovete fin d’ora mirare. Avete tutto quel che serve per mirare tanto in alto: «del luogo dove io vado, conoscete la via».

Obietta Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Tommaso pare segretamente rassegnato al fatto che la sua fede in Gesù è soltanto per questa vita.

A quella domanda, Gesù risponde che la via è lui stesso: «Io sono la via, e certo anche la verità e la vita». Nel caso di Gesù, la meta del cammino non può essere separata dalla via per raggiungerla. Non c’è distinzione tra la via e la meta; tra il cammino e la vita compiuta. «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Ma insieme, nessuno che venga a me può fermarsi soltanto a me; deve proseguire il suo cammino fino al posto preparato per lui nella casa del Padre.

Non possiamo fermarci prima. Se noi abbiamo sperato in lui solo per questa vita siamo da compatire più di tutti, direbbe san Paolo.

Occorre innalzare il nostro desiderio fino alla casa del Padre.

L’affermazione di Gesù ha certamente un’intonazione escatologica, allude all’ultimo giorno. Tuttavia, già da ora, il Maestro ci consente di dimorare in questa comunione con l’Abbà.

Poi la casa ci sarà, e lì anche un posto per ciascuno di noi.